Vangelo della Domenica
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19 Marzo 2023 IV DOMENICA DI QUARESIMA - A Luce del mondo La miglior introduzione alla liturgia festiva di oggi sono queste parole del Maestro: Io sono la luce del mondo, chi segue me avrà la luce della vita (Gv 8,12).
Gesù è la luce del mondo, perché in Lui tutto è chiarezza, tutto è verità, tutto è vita, tutto è amore. Come infatti la luce del sole è indispensabile alla nostra esistenza, così la nostra esistenza è sorretta dal Signore della luce. Solamente seguendo Gesù, luce del mondo, possiamo raggiungere Dio, luce del cielo. Il miracolo del cieco nato fu un evento strepitoso. Nella storia di Israele c'erano già state guarigioni del genere da parte dei profeti, ma nessuno aveva potuto dare la vista a un cieco nato, cioè senza occhi sotto le palpebre. Fu per tal motivo che il miracolo creò molto scalpore e vennero fatte indagini approfondite, anche presso i genitori del graziato. Solo Dio poteva fare un portento del genere, quasi paragonabile alla risurrezione di Lazzaro, morto da quattro giorni e già in decomposizione. Perché Gesù fece questi miracoli straordinari? Li fece per manifestare, anche con le opere, che Lui era Dio, uguale al Padre, inferiore a Lui non per natura, ma per obbedienza, come dice in questo passo del Vangelo: Il Padre è più grande di me (Gv 14,28). Fece questi miracoli anche per dare autorità alla sua parola, in modo che vedendo tali segni divini, Dio fosse glorificato, creduto, amato, seguito. Il prodigio del cieco nato, come ogni altro avvenimento evangelico, può avere anche un significato spirituale, adatto ai nostri tempi. Infatti, l'uomo moderno può paragonarsi ad un cieco. Non solo divenuto tale durante la vita, a causa dei suoi errori, ma nato cieco dalla nascita, come le nuove generazioni che nascono già "non vedenti" perché senza valori. L'uomo moderno è sempre più malato interiormente. Genera perciò figli "ciechi" già nei primi anni di vita, poiché mancano sempre più i valori della verità, della testimonianza, della fede e dell'amore, che sono luce all'anima. Gesù è venuto a guarire anche questi "nati ciechi", figli di genitori non vedenti che preferiscono le tenebre alla luce, come è detto in Giovanni: La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta ... La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce (Gv 1,5; 3,19). Per essere guariti, genitori e figli, Gesù ci chiede la fede in Lui, come la chiese al cieco dalla nascita: Tu credi nel Figlio dell'uomo?
Facciamo in modo che possano compiersi in noi queste parole di Paolo: Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. E facciamo in modo che si realizzino in noi queste parole del Salmo: Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.
Il Vangelo di oggi contiene anche un'importante risposta del Signore sul senso del dolore. Alla domanda dei discepoli: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco? Gesù risponde: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Che cosa vuol dire? Vuol dire che la sofferenza non è un castigo, ma la conseguenza del peccato. È il peccato che ha causato il dolore e la morte. Tuttavia, anche attraverso tali sciagure, Dio manifesta la sua gloria, riscattando il male con il bene, la sofferenza con la salvezza e la morte con la vita. In tal modo si manifestano nel Figlio le opere del Padre. Se il dolore fosse un castigo, Dio sarebbe ingiusto, perché molti soffrono senza averne colpa, mentre altri godono anche se colpevoli. La sofferenza, come è detto nella Bibbia (Gn 3,16-19), fu causata dal peccato originale e dai mali conseguenti, ma il peccato non è sempre causa di sofferenza. Infatti molti peccano, eppure stanno bene. Altri, invece, stanno male, anche se non sono peccatori. Perché? Perché la sofferenza, non essendo più un castigo, può diventare addirittura strumento di grazia. Con la sofferenza, infatti, noi possiamo dare gloria a Dio, facendo della nostra croce una manifestazione di salvezza. Il dolore, quello corporale e anche quello morale e spirituale, può servire a manifestare in noi le opere di Dio, quando Dio compie in noi le sue opere, cioè quando noi diventiamo sempre più santi, a sua immagine e somiglianza, compiendo ciò che il Santo ci propone. Infatti, con lavvento di Gesù, il Padre usa il male per trasformarlo in bene, dando gloria a Se stesso e a chi crede nel Figlio. Gesù non ci ha forse salvati con la sofferenza, patendo la Passione per noi? Eppure Egli era senza peccato. Allo stesso modo noi, peccatori, possiamo fare della sofferenza un'occasione di patimento, dando gloria a Dio con le nostre opere e collaborando con Gesù alla salvezza. Dice Paolo: Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24). In altre parole: Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e unisco la mia carne mancante alla completezza dei patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Il Signore ci illuminerà, se ci sveglieremo dal sonno dellapatia e dellaccidia e da tutti i morti dello spirito, i quali sono cadaveri senza saperlo e ciechi senza esserlo. Perciò è scritto: Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà. P.Enzo Redolfi |